Le parole del cibo

Italy

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di ROSA NENE MOLA.  Le parole fanno gustare il cibo e il cibo fa gustare le parole. Pensiamo agli scrittori, per esempio. Con la scrittura si sentono a parole nuovi sapori, si sorseggia due volte un vino, si mangia due volte un piatto. Le parole ricucinano il tutto, fanno rigustare il tutto a rallentatore. Penso a Mario Soldati quando descrive colori e sapori del suo Gattinara, a  Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo” quando descrive l’arrivo in tavola di un favoloso timballo. E poi, il nome di un cibo. Penso ad esempio al legame con il territorio con il quale spesso si identifica. Il nome di un cibo è fondamentale: può segnare una identità, rilevare uno status symbol, richiamare un dialetto, un’anima regione, un luogo, identificarsi con un territorio. Un vero viaggio, scrive il filosofo francese Michel Onfray, non si limita soltanto a farci godere del visibile, ma ci fa assaporare il paesaggio visitato, la sua cultura “attraverso i suoi cieli, le sue terre che fanno tutt’uno coi suoi cibi”. Anche il gusto, quindi, è una via d’accesso alla conoscenza: non basta vedere un luogo, occorre ascoltarlo e gustarlo.

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