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di BEATRICE GALLUZZO – La Repubblica ha pubblicato oggi le anticipazioni riguardanti il decreto del Ministro della Giustizia Orlando, gravitante in gran parte sulle questioni della privacy, con particolare attenzione all’utilizzo delle intercettazioni in fase processuale. Il decreto è stato inviato, a quanto sembra, “in gran segreto ai più importanti procuratori italiani”, e dà seguito alla delega al Governo contenuta nella legge sulla riforma al processo penale del 23 giugno 2017. A causa della ristrettezza dei tempi concessi dalla legge – tre mesi – si è rinunciato al parere preventivo di una commissione di esperti, ma si ascolterà il parere dei capi delle procure, i quali si erano già dotati di un codice di regolamentazione.
Insomma, sono sette pagine di testo e sette di relazione illustrativa – precedute dalla lettera di convocazione del Guardasigilli Orlando in Via Arenula, prevista per la settimana prossima. Uno dei punti più rilevanti del decreto appare essere l’Art. 3, il quale recita: “E’ fatto divieto di riproduzione integrale nella richiesta (del pubblico ministero, ndr) delle comunicazioni e conversazioni intercettate, ed è consentito soltanto il richiamo al loro contenuto”. La stessa frase viene ripetuta per le ordinanze del gip e per quelle del tribunale del riesame.
Un altro punto toccato dal decreto riguarda la telefonata tra avvocato e assistito. “Non può essere oggetto di trascrizione, anche sommaria, e nel verbale sono indicate solo la data e l’ora”. E il divieto è esteso anche per “le comunicazioni o conversazioni i cui contenuti non hanno rilevanza ai fini delle indagini, nonché di quelle riguardanti dati personali definiti sensibili dalla legge”. L’unica eccezione al divieto di trascrizione è ammessa “quando il pm ne valuta la rilevanza per i fatti oggetto di prova”.
Inoltre, una forte limitazione riguarda l’utilizzo dei captatori informatici, i cosiddetti Trojan horse, che permettono di trasformare il cellulare in una sorta di registratore. Questo genere di misure potranno essere utilizzate solo nei casi di reati gravissimi, come mafia e terrorismo; e comunque saranno sottoposte alle stesse regole in vigore per le intercettazioni classiche, dunque il pm dovrà motivare le “ragioni di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice” e le informazioni raccolte attraverso questi virus informatici non si potranno utilizzare “per la prova di reati, anche connessi, diversi da quelli per cui è stato emesso il decreto di autorizzazione, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza”.
Il decreto, comunque, prima di approdare in Consiglio dei Ministri, dovrà passare al vaglio consultivo delle commissioni Giustizia di Camera e Senato. E come riportato da Republica, “da lì potranno arrivare critiche su un possibile eccesso di delega, perché con un decreto legislativo, e non con una legge, si tocca un meccanismo delicato della dinamica processuale.
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