Weinstein: sui social le donne si raccontano attraverso gli hashtag #me Too e #quellavoltache

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di BEATRICE GALLUZZO – Tutto è partito dal caso Harvey Weinstein. Il potentissimo produttore cinematografico statunitense, apparentemente, nella vita aveva due attività principali: calcare i red carpet di Hollywood e molestare le attrici che si trovavano, loro malgrado, a passare dalla poltrona del suo ufficio. Così, tout court. Tante, tantissime le voci levatisi in questi giorni dalle attrici che si sono trovate, loro malgrado, a sguisciare dalle mani del viscidissimo ex-fondatore della Miramax: da Lea Seydoux a Gwyneth Paltrow; da Cara Delevigne a Lena Hadey. In Italia, una: Asia Argento.

Il “caso Weinstein” , però, non è rimasto confinato nella dimensione patinata e distante dell’industria cinematografica americana. No, perchè quello che segna il trait d’union tra un’Angiolina Jolie- per dirne una- e una Sara o una Federica o una Giulia o una qualunque altra donna del globo è tutta lì: la molestia sessuale- sul posto di lavoro, o sull’autobus, o per strada; questo, poi, non ha importanza. E, soprattutto, il significato univoco che queste violenze assumono all’interno di una visione ben più ampia, che riguarda una società, la nostra, che degrada le donne a mero oggetto passivo di un potere sessuale che riposa, sempre, nelle mani dell’uomo.

Lanciato su Twitter dalla star di Streghe, Alyssa Milano, è stato condiviso quasi da mezzo milione di persone l’hashtag #me Too, “anche io”, che permette alle donne di unirsi in un coro collettivo composto da tutte le storie di molestie, di abusi, di violenze, magari mai denunciate e sempre taciute, per vergogna o per percepito senso di colpa. Una quantità inimagginabile di racconti agghiaccianti che trascende la nazionalità, il mestiere, l’età, lo status sociale.

Iniziative social simili a quella di Alyssa sono nate, in realtà, anche in Francia con l’hashtag #balancetonporc, e in Italia, dall’idea della giornalista e scrittrice Giulia Blasi, che ha lanciato la campagna #quellavoltache. Storie di un’Italia che nessuno ha tempo, o voglia di prendere sul serio.”#Quella volta che  chiesi aiuto (per stalking, minacce e botte) e il poliziotto mi disse: «È normale. È innamorato e tu lo stai lasciando.» scrive un’utente. Oppure, “#Quellavoltache un uomo per cui lavoravo ha chiuso la porta a chiave impedendomi di uscire se non lo baciavo. ho urlato. ho perso il lavoro”, racconta un’altra. Queste sono solo due, su centinaia di storie narrate nell’esiguo spazio di 280 caratteri.

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