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“Di fronte a una campagna politica che si appresta ad aumentare la confusione sul futuro del sistema previdenziale, tirando la manica della giacca con ipotesi di riforma insostenibili e rispolverando vecchi cliché a partire dalla abusatissima formula ‘pensioni d’oro’, a noi non resta che fare il punto. Sperando che qualcuno risponda al richiamo con senso di responsabilità” ha dichiarato il presidente di Federmanager, Stefano Cuzzilla, parlando del tema relativo alla previdenza “Deve essere chiaro, infatti, che la spesa pensionistica italiana pura, cioè quella che si ottiene eliminando la spesa per prestazioni tipicamente assistenziali (come quelle Gias) e le imposte sulle pensioni (che sono una partita di giro per lo Stato) si attesta intorno all’11% del Pil: un dato che dimostra l’equilibrio tra entrate per contributi e uscite per prestazioni puramente pensionistiche, assolutamente in linea con gli altri paesi europei: la spesa previdenziale netta è cresciuta solo dello 0,2% tra il 2015 e il 2016, a dimostrazione dell’efficacia delle riforme attuate in materia previdenziale e dell’evidenza di spazi di opportunità per attenuare gli effetti rigidi di altre, a partire dalla legge Fornero che ha peccato di eccesso. Affermare che il nostro sistema previdenziale affossa il debito pubblico italiano e mette a rischio la sostenibilità dei conti, spendendo troppo per le pensioni e troppo poco nelle altre forme di protezione sociale, è un’operazione mistificante. Se l’Europa si mostra preoccupata del nostro bilancio lo fa in prospettiva, perché abbiamo un tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti dell’eurozona, una demografia che ci penalizza più di altri, e un debito pubblico che è una zavorra. Basterebbe separare i dati tra previdenza e assistenza per accorgersi dove sta il vulnus. Altrettanta demagogia è sostenere che le pensioni più elevate hanno maggiormente beneficiato del sistema di calcolo retributivo o che gli operai pagano le pensioni dei manager per i disavanzi della contabilità separata di bilancio dell’ex Inpdai. Semmai è vero l’esatto contrario in quanto sono le pensioni medio basse che hanno goduto di un maggior beneficio, che tende a ridursi fino ad annullarsi con il crescere dell’importo della pensione. La nostra organizzazione si batte e continuerà a farlo per evitare lo scontro generazionale e per evidenziare che il parametro per considerare una ‘pensione d’oro’ non può essere sintetizzato nell’ammontare della pensione stessa bensì nella correlazione tra l’importo e i contributi versati: chi si candida a governare prenda in carico seriamente il problema dei bassi tassi di occupazione giovanile e pensi a far funzionare realmente la macchina di politiche attive del lavoro”.
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