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Le autonomie di Procuste

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di FRANCESCO GRECO – Aveva deciso di dare a tutti gli uomini dell’ecumene la forma che più gli aggradava. Così il gigante Procuste tendeva loro l’agguato: si appostava sul percorso dei viandanti, li catturava, li stendeva su un letto di pietra che era anche una misura e se il pellegrino era troppo lungo gli tagliava i piedi, se troppo corto glieli allungava. 
La mitologia greca, con le sue metafore immortali, è assai utile per cercare di decodificare la sciarada delle autonomie regionali. 
Che svelano, all’ennesima potenza, i luoghi comuni più vecchi, cristallizzati dell’antropologia italiana in rapporto alla politica.
Il background è materia di riflessione quotidiana: Veneto e Lombardia (il Lombardo-Veneto) chiedono l’autonomia regionale, gestire in proprio la scuola, la sanità, ecc. 
Blindato in una battaglia di retroguardia, cementata dalla cultura  del sospetto, il Mezzogiorno assistito, delle clientele, delle mafie, dell’evasione ed elusione fiscale a gogò si oppone. La politica peggiore strumentalmente lo sostiene. 
Lo stesso Mezzogiorno che non riesce a spendere le risorse comunitarie, mentre si spopola delle risorse intellettuali migliori. Della classe politica di inetti e corrotti, che spesso usano le istituzioni come ammortizzatori sociali. Di politici al confine con la criminalità, pur votati massicciamente. Ce n’è uno che anni fa formattò un’antica necropoli, un crimine contro l’umanità: lo hanno mandato in parlamento ben tre volte.
E invece di responsabilizzarsi, di cambiare la propria cultura, il dna, il Sud ripropone i vecchi cliché del cappello in mano e del piagnisteo gridando al lupo! al lupo! 
Ma i lupi sono qui, non in Veneto e Lombardia, anche perché, per quel poco che par di capire dal dibattito intorno al tema, sono previsti meccanismi di perequazione delle risorse.       L’economista pugliese Gianfranco Viesti si è fatto portavoce del Sud piagnone, vittimista, fatalista, con la mano tesa e la lacrima incorporata, e ha messo on line una petizione contro le autonomie che ha raccolto un po’ di firme. Forse era tutta scenografia da supporto a un’eventuale candidatura europea, mancata.              Una battaglia di retroguardia. Come gli indiani d’America che si opponevano alla ferrovia per la danza della pioggia, non capendo che potevano usarla anche loro, che ne avrebbero tratto benefici (continuando anche a danzare attorno ai totem).    Non si può rifiutare la modernità, si deve affrontarla, gestirne le contraddizioni. Se Veneto e Lombardia vogliono correre, perché noi dobbiamo bloccarli? In nome di che cosa? Se un atleta fa i 100 metri in 10 secondi e noi in 20, dovremmo cercare di raggiungerlo, non chiedergli di andare più piano per essere lenti come noi. Se loro hanno la Ferrari e noi un’auto vecchia, non possiamo obbligarli e tenerla ferma in garage.       Quelle due regioni oggi hanno delle eccellenze (sanità, scuola, ecc.), ma non sempre è stato così: dal Veneto si emigrava fino a non molto tempo fa. Questo non vuol dire che anche noi non potremmo averle.      Non è solo questione di risorse, altrimenti con tutte quelle che abbiamo avute fra casse grancasse del Mezzogiorno, vivremmo nell’Eldorado. Decisiva è anche la “cultura”, la mentalità razionale e vincente: se poi tu mandi nelle istituzioni il peggio del peggio, che pensa solo a cambiare il suo status, cosa ti aspetti?  E con quale credibilità poi ti lamenti?     Non esiste il determinismo, né il lombrosismo. Esiste invece il libero arbitrio, la responsabilità, la coscienza dei propri mezzi e la determinazione nel perseguire gli obiettivi. Invece di strepitare, non sarebbe meglio accettare le sfide, lanciare il cuore oltre l’ostacolo e lavorare?   

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