di DOMENICO MACERI* – “Non mi ha mai chiamato ‘ragazzo’ ”. Parla l’ex vicepresidente Joe Biden mentre cerca di spiegare che lui è capace di lavorare con tutti, anche i segregazionisti come James Eastland, senatore del Mississippi dal 1941 al 1978. Eastman, noto come “La voce del Sud Bianco”, lo chiamava spesso “figlio” quando Biden lo interpellava per chiedergli assistenza in programmi legislativi negli anni 70. Erano tempi duri ma per Biden si potevano svolgere i compiti del Senato nonostante le differenze ideologiche. Adesso, ha continuato Biden, tutti gli avversari sono nemici invece di difficili ma non impossibili collaboratori.
Bei tempi, allora. Biden è un gaffeur cronico ma in questa situazione si è sbagliato in modo notevole, scavandosi una fossa per la quale il senatore afro-americano Corey Booker del New Jersey gli ha chiesto di presentare scuse. L’ex vice presidente si è rifiutato, non rendendosi conto che solo la menzione di “ragazzo” nella bocca di un segregazionista come Eastland per dirigersi a un afro-americano adulto è offensiva. Per gli afro-americani il termine richiama il tragico passato del razzismo e la schiavitù. Se Biden non è mai stato chiamato “ragazzo” non si doveva a ragioni di educazione e eguaglianza ma al fatto che lui era bianco. Ma anche il termine “figlio”, usato da Eastland per riferirsi a Biden, dovrebbe essere visto come offensivo, anche se molto meno di “ragazzo”, poiché i due erano colleghi e quindi mancava di rispetto all’allora giovane senatore del Delaware.
Biden aveva usato questa aneddoto per dimostrare che a differenza di altri politici lui sarebbe capace di ritornare ai tempi passati e cooperare con i futuri avversari politici, ottenendo compromessi per il bene del Paese. Qui però è il problema di Biden. Il passato che lui richiama non è poi così glorioso né per il ricordo della discriminazione degli afro-americani ma neanche quello personalmente politico in generale. Va ricordato che negli anni 70, Biden da senatore è stato un feroce avversario dell’integrazione nelle scuole, asserendo che una tale politica avrebbe causato effetti negativi agli studenti bianchi.
Inoltre nel 1991, da presidente della Commissione Giudiziaria al Senato, Biden diresse le clamorose udienze sulla conferma di Clarence Thomas alla Corte Suprema, il quale fu accusato di molestie sessuali da Anita Hill. Biden fu poco ricettivo alla testimonianza di Hill dimostrandosi insensibile ai diritti delle donne e della discriminazione. Avendo riconosciuto il suo inappropriato comportamento in quella situazione, Biden ha recentemente telefonato e chiesto scusa a Hill la quale è rimasta poco soddisfatta anche se ha poi dichiarato che fra Trump e Biden lei sceglierebbe il politico democratico. Da non dimenticare il supporto di Biden della legge sui reati violenti del 1994, sostenuto vigorosamente dall’allora giovane senatore, una legge considerata adesso come responsabile dell’incarcerazione massiva, specialmente di membri di gruppi minoritari e in particolar modo di afro-americani. C’è poi il suo voto favorevole alla disastrosa guerra in Iraq nel 2003 anche se Biden si rese poi conto nel 2006 che il presidente George W. Bush aveva abusato l’autorità del Congresso in modo poco responsabile.
Nonostante questi episodi che mettono Biden in luce poco favorevole l’ex vice presidente è visto in termini positivi specialmente per il compito svolto negli otto anni a fianco di Obama. Va ricordato anche il suo supporto per i diritti dei gay sul quale spinse un Obama alquanto riluttante. Il rapporto fra i due fu ottimo e Biden si dimostrò decisivo con una prestazione emozionante nel suo dibattito con Paul Ryan, candidato repubblicano alla vice presidenza nel ticket di Mitt Romney nel 2012. Un episodio notevole perché venne poco dopo la deludente performance nel dibattito di Obama con Romney. Questa “vittoria” di Biden nel dibattito ricalibrò la campagna elettorale di Obama proiettandolo all’eventuale rielezione.
Sono stati gli otto anni come vice di Obama che lo avevano catapultato alla nomination del Partito Democratico nell’elezione del 2016 che lui decise però di saltare per ragioni personali. Il figlio Beau, morto dopo una lunga battaglia contro il cancro nel mese di maggio del 2015, addolorò Biden profondamente e non si sentì pronto ad una corsa per la presidenza, non considerandosi capace di dare il 100 per 100 all’elezione.
Come si ricorda, Hillary Clinton vinse la nomination del Partito Democratico ma fu confitta da Donald Trump. Difficile sapere se il risultato sarebbe stato diverso se Biden fosse stato il candidato democratico. Adesso i sondaggi lo danno vincitore in un scontro diretto con Trump per l’elezione del 2020 non solo al livello nazionale ma anche nello Stato ultra conservatore del Texas. C’è però molta strada da fare prima dell’elezione del 2020 e il recentissimo dibattito dei candidati democratici alla nomination non appare di buon auspicio per Biden. Nell’incontro del secondo gruppo di dieci candidati Biden è stato confrontato da parecchi dei suoi avversari e in particolare modo da Eric Swalwell, parlamentare della California, e Kamala Harris, senatrice del Golden State.
Il primo, uno dei giovanissimi candidati, ha ricordato che all’età di trentadue anni Biden aveva fatto un discorso in cui sosteneva che l’establishment democratico doveva “passare la torcia alla nuova generazione”. Swalwell lo ha ricordato indicando a Biden che quell’ora è arrivata per lui. Biden ha però controbattuto che non ha nessuna intenzione di farlo. Ma l’attacco più dannoso per Trump è stato quello di Harris la quale ha ricordato a Biden che lei aveva beneficiato dell’integrazione delle scuole da bambina nella città di Berkeley alla quale lui era contrario. Non lo ha accusato di razzismo ma ha ricordato l’episodio che il collega Booker aveva ritenuto meritevole di scuse. Biden ha cercato di districarsi dal commento di Harris senza riuscirvi e alla fine ha detto che, secondo le regole del dibattito, il suo tempo era “scaduto”. Non si riferiva al futuro della sua campagna e vita politica. Altri però lo avranno però interpretato come un’altra delle sue gaffe rivelatrici, suggerendo che il suo ruolo politico sia veramente finito.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.
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