Sulmona |
VITTORIO POLITO – Pasqua, com’è noto, è la principale festa mobile,
ossia che segue il ciclo lunare e non quella solare, e in ogni paese o regione
le manifestazioni ad essa dedicate sono varie e numerose, in alcuni casi
anche curiose. In questo caso mi riferisco a quelle che si svolgono in
Abruzzo, in particolare a Sulmona, ove i riti della Settimana Santa si
svolgono con caratteristiche consolidate nel tempo.
Sulmona, l’antica capitale dei Peligni, dà vita, durante la Settimana Santa e
nel giorno di Pasqua, a sacre celebrazioni che rappresentano con
coinvolgente impatto emotivo il dramma della morte e la gioia della
resurrezione. E così mentre la Chiesa celebra i suoi riti liturgici quaresimali,
il popolo tramanda le sue tradizioni.
In diverse contrade dell’Abruzzo, nel giorno di Giovedì Santo i cantori della
Passione, “li passionire”, vanno in giro, per le case dei borghi e delle
campagne, cantando “Lu ggiuveddi sande” o “la Madonne de lu ggiuveddi
sande”. Il canto, alternato tra due o più cantori, è accompagnato per lo più
da un organetto, “lu ddu botte”, ma spesso anche dalla fisarmonica e dal
violino. È anche detto “lu piante” o “lu lamente de la Madonne”. Questi canti
variano da luogo a luogo, concordanti però quasi tutti nel contenuto. La più
antica composizione è quella duecentesca della “Lamentatio Beate Marie de
Filio”, tramandataci dal manoscritto pergamenaceo celestiniano, conservato
a l’Aquila nel Museo di Arte Sacra. La varietà di credenze, usi, costumi e
cerimonie delle popolazioni abruzzesi durante il periodo quaresimale e
pasquale, è talmente vasta che non è possibile darne una descrizione
completa.
Una delle rappresentazioni più importanti, ma nello stesso tempo singolare,
soprattutto per i forestieri, è quella nota come “La Madonna che scappa” o
“La Madonna che corre in piazza” che si svolge la Domenica di Pasqua a
Sulmona. La raffigurazione si svolge intorno a mezzogiorno nello scenario
di Piazza Garibaldi, affollata da una moltitudine di persone. Alle 11,30
dall’antica Chiesa di Santa Maria della Tomba escono le statue di San
Pietro e San Giovanni evangelista, gli apostoli che secondo il Vangelo si
accorsero per primi della Resurrezione. Entrano quindi in piazza e si
dirigono verso la Chiesa di San Filippo. Tra i tre archi intanto si intravede
anche la statua del Cristo Risorto che prende posto sotto un baldacchino
rosso.
I costumi indossati dalle Confraternite della Trinità e di Santa Maria di
Loreto, i portatori di lampioni che procedono con passo strisciante, i cantori
del Miserere che invece avanzano gomito a gomito con andatura oscillante
lateralmente (“la ’nnazzecarelle”) e tutto lo spettacolare apparato
coreografico, conferiscono al rituale drammatico della processione del
Cristo Morto una solenne grandiosità. Dall’antica chiesa di Santa Maria
della Tomba esce la processione con le Statue di Cristo Risorto, di San
Giovanni e di San Pietro, portate dai confratelli della Confraternita della
Madonna di Loreto, che indossano il caratteristico mantello verde su tunica
bianca.
La statua del Cristo Risorto si ferma sotto l’arco centrale dell’antico
acquedotto, al limite della bella e luminosa piazza Garibaldi. Le statue di S.
Giovanni e di S. Pietro proseguono lentamente e, separatamente,
dirigendosi verso la chiesa di S. Filippo Neri, dove si trova la statua della
Madonna vestita a lutto, straziata dal dolore per la perdita del Figlio diletto.
Prima l’uno, poi l’altro, i due Santi bussano per annunciare alla Madonna
che Cristo è risorto. Il portale non si apre. Al terzo tentativo fatto da S.
Giovanni, la porta si apre ed appare la Madre vestita di nero che stringe un
fazzoletto bianco nella mano destra. Esitante e quasi incredula, come chi
teme di andare incontro ad una delusione, si avvia pian piano lungo la
piazza, seguita dalle altre due statue. A circa metà percorso, i portatori
sollevano la statua della Madonna, a significare il tentativo di chi si
protende sulla punta dei piedi per meglio vedere. Ormai convinta di aver
visto il Figlio risorto, si lancia verso di Lui in una corsa frenetica, lascia
cadere il mantello nero e il fazzoletto bianco, e subito apparire
splendidamente vestita di verde, mentre nella mano destra ora regge una
rosa rossa. Allo stesso istante da sotto il piedistallo si alzano in volo dodici
colombe bianche. Le campane suonano a festa e intanto si ricompone il
corteo con in testa le statue del Redentore e della Madonna appaiate,
seguite da quelle di San Giovanni e di San Pietro. La figura della Madre, in
abito verde che corre gioiosa verso il Figlio trionfante sulla morte, è senza
dubbio una evidente allegoria della “Speranza”. Non è azzardato il
paragone con la famosa e celebre statua della “Macarena”, Nostra Signora
della Speranza, che si venera a Siviglia, dove tra una folla di penitenti, sfila
durante la Settimana Santa, vissuta, anche lì, con grande fervore e devota
animazione. Meno celebri, ma non meno suggestive per religiosità e per
carica emotiva, sono le sacre rappresentazioni dell’incontro della Madonna
con il Figlio risorto, che si svolgono a Lanciano (CH) e a Corropoli (TE),
rispettivamente nel giorno di Pasqua e nel martedì di Pasqua.
In provincia di Pescara meritano di essere ricordate la processione di
Moscufo per il pregio e la quantità dei gruppi statuari, conservati
nell’apposita chiesa della Pietà, e soprattutto, quella di Penne, istituita nel
1570, che, oltre ad esibire una preziosa coperta ricamata del 1860, sulla
quale giace il Cristo Morto, si caratterizza sia per i simboli tradizionali, riuniti
in corpo unico detto “Statua della Passione”, sia per il tamburo, in uso in
tutta la zona, detto “Lu tamorre scurdate”, perché privo della corda
vibrante. Al calar del sole il corteo, preceduto dal suonatore del tamburo,
avanza, lineare e composto, con passo scandito dal ritmo dei battiti lenti e
sordi, che creano un’atmosfera di lutto. Odori d’incenso, canti corali e
preghiere che si diffondono per le antiche pittoresche vie cittadine,
illuminate dai ceri dei fedeli, conferiscono solennità al sacro rito.
A Villa Badessa, una frazione del comune di Rosciano, nel pescarese, vi è
insediata, dalla prima metà del XVIII secolo, una piccola colonia italo-
albanese. Ancora oggi gli albanesi della citata frazione conservano
inalterato il loro idioma e continuano a seguire la liturgia di rito greco-
bizantino. Nei riti e nelle processioni della Settimana Santa, non compaiono
statue e altri simboli ricorrenti nelle celebrazioni cattoliche, ma sono
presenti antiche icone. Le cerimonie hanno inizio con gli “encomia”, il
pianto delle donne durante la veglia notturna sulla icona della Deposizione
di Cristo. Nelle ore antelucane della Domenica di Pasqua, il ‘papàs’
(appellativo dei sacerdoti nella chiesa greco-ortodossa), che reca l’icona
della Resurrezione, esce in processione fuori della chiesa, seguito dai
fedeli che illuminano con candele le ultime ore della notte. In grande
silenzio, tutti insieme si volgono verso oriente in attesa dell’alba. Al sorgere
del sole il papàs canta il primo verso del Vangelo secondo Giovanni e,
intonando canti di gioia, rientra in corteo nella piccola chiesa.
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