FRANCESCO GRECO – C’è uno scarto semantico mostruoso fra la narrazione che si costruisce giorno per giorno e la realtà vissuta. Tra fake news, propaganda, suggestioni, militanze, ossessioni. Posto che si possano scindere.
A Mosca vedono regolarmente Rai, CNN, BBC, altre testate, ma qui non si vede Russia Today, Sputnik, né altre tv. E dal 26 maggio (ma è un processo di oscuramento che risale a prima del 2022, guerra in Ucraina, precisamente dal 2016), con un decreto ad hoc, la democratica UE ha oscurato anche Ria Novosti, Izvestija, Rossiyskaja Gazeta, Voice of Europe). Insomma: è una guerra di civiltà.
Misteri delle democrazie occidentali, quelle che la Nato da 75 anni difende a fil di spada, le esporta con ogni mezzo e fine, creando diaspore artatamente, con circa 10,5 milioni di morti: irrilevanti effetti collaterali.
Come si diceva? La vita di un bambino è più preziosa della Cappella Sistina? Da Mosca ce lo dicono i colleghi: tutte le emittenti italiane, pubbliche e private, sono visibili, non subiscono censura, sanzioni, restrizioni. Arrivano tutti i giornali italiani. Oltre a quelli americani, tedeschi, inglesi, francesi. Nelle edicole italiane però le testate russe non ci sono.
In Russia uno straniero può aprire un conto in banca. Da noi è proibito, anche le operazioni con Russia e Bielorussia, niet.
Putin inoltre ha appena allentato i parametri per accogliere gli stranieri, anche come aveva suggerito tempo fa la studentessa Irene Cecchini.
Com’è noto, poi, tutto il mainstream è schierato, da 800 giorni, contro il Cremlino con un’informazione che qualcuno definisce “propaganda atlantica” densa di balle: quante volte abbiamo letto che Putin è morto? Gravemente malato?
All’inizio della Operazione Militare Speciale, al corrispondente Rai Marc Innaro scappò: “Putin forse non ha tutti i torti…”. Il giorno dopo era già a Roma.
La nostra solida democrazia teme i media russi, democraticamente oscurati e censurati. En passant, poi, ci sarebbe da aggiungere che un cabarettista sosia di Putin gira la Russia facendo spettacoli dove lo prende in giro senza che alcuno gli dica nulla, mentre da noi non si hanno più news dei fratelli Guzzanti. E che il defunto Navalny era titolare di una tv finanziata dall’Occidente che trasmetteva h24 e, come si potrebbe intuire, non diceva certo cose lusinghiere sul Cremlino, che pure lo tollerava.
Anche così si spiega quel che accadde a Mosca a febbraio, quando la suddetta studentessa italiana di 22 anni, Irene Cecchini, al convegno “Idee forti per tempi nuovi”, si alza e dice: “Voglio realizzare qui il mio progetto di vita”. Il tutto mentre l’Italia democratica è avvolta dalla più cupa russofobia: i cantanti russi non possono fare concerti, gli scrittori scacciati dagli atenei, gli atleti non li vogliono alle Olimpiadi di Parigi se non rinnegano la loro patria, persino i gatti sono perseguitati.
La ragazza sarebbe da copertina, interviste, anzi, la donna del 2024. Invece col massimo della disonestà intellettuale trova il modo di far dire ai genitori che è una spia. Stesso trattamento per l’artista Jorit che chiede e ottiene un selfie con Putin, quello vero, non un ologramma, non quello affetto da mille patologie inventato dalla democratica informazione italiana.
Gli ucraini con le svastiche di Stefan Bandera li stiamo chiamando “partigiani” e la loro guerra per procura “resistenza”. Si fanno sondaggi su tutto, ma se chiedessero agli italiani cosa pensano della guerra, se sono ancora per le sanzioni e le armi, sapremmo la verità. Solo che Vespa intervista la sua mamma, la suocera e la zia e ha il 99% che vuole correre in soccorso di Zelenskij. Invece continuiamo a mentire a noi stessi, a baciare la mano di chi ci sfama con le briciole. Forse sarebbe ora, non fosse altro che per istinto di conservazione, se non lo si vuol fare per etica (dignità è una parola grossa), nel nostro interesse, di andare oltre i pregiudizi e i luoghi comuni.
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