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Francia, la triste fine della grandeur

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FRANCESCO GRECO – 13 milioni e mezzo di km2: tanto era esteso, fino a un secolo addietro, l’impero coloniale francese (secondo solo a quello britannico). Soprattutto nell’Africa nord-ovest. Per farsi un’idea: un decimo delle terre emerse, 45 volte l’Italia, tutta l’Europa è grande 10,5 milioni di km2. Belle performance!

Solo che la grandeur non basta, la Storia va avanti: dicesi determinismo. Insomma, l’Impero inizia a sgretolarsi a partire dal 1954, con la guerra in Algeria (storicizzata dal bellissimo film di Gillo Pontecorvo, “La battaglia di Algeri”, 1966). Un processo storico e politico che dura fino al 1960, con numerose colonie che si dichiarano indipendenti.

Sulla carta. Perché il controllo resta immutato, pervasivo, asfissiante. Specie nell’Africa subsahariana. Parigi rapina sempre le risorse (materie prime), impone governi amici, continua ad avere basi militari.

E a esercitare, specie nell’Africa Centrale, quella che si dice la sovranità monetaria attraverso il franco CFA (acronimo di Colonie Francesi in Africa). In due aree: Ciad, Repubblica Centroafricana, Repubblica del Congo, Gabon, Camerun, Guinea Equatoriale. E poi in Burkina Faso, Costa d’Avorio, Benin, Guinea Bissau, Mali, Senegal, Togo e Niger. Monete gestite direttamente dalla Banca Centrale di Francia.

Ma non ci si può opporre al dinamismo della Storia: negli ultimi anni, alcuni di questi Paesi hanno abbandonato la CFA per coniare loro valute. Di fronte al declino, a Parigi non restava che mostrare i muscoli. E infatti la morsa militare ha stretto i suoi denti.

Particolarmente in Mali (siamo nel 2014) contro presunti gruppi terroristici islamici (cattivi, quelli che giorni fa hanno preso il potere in Siria sgozzando la gente per strada per i media occidentali sono buoni e giusti).

E siccome occorre sempre trovare un nemico e una causa “giusta”, da secoli sempre in stand-bye con la Guerra Santa, dieci anni fa il mainstream scrisse che quei quattro casinari dalla barba lunga volevano invadere la Francia, anzi, l’Europa. Rozza quanto grottesca propaganda.

Da allora alcuni Paesi hanno imposto a Parigi la loro indipendenza: Burkina Faso, Niger, Mali, Togo, Ciad. I leader di Costa d’Avorio e Senegal hanno appena detto alla Francia di togliere il disturbo entro quest’anno. Di quell’Impero in macerie, restano ancora 350 militari in Gabon e 1500 in Gibuti.

Ma siccome il vuoto non esiste, in Africa negli ultimi anni sono sbarcate Russia e Cina. Particolarmente efficace la presenza di Pechino, che in infrastrutture (energia, trasporti, telecomunicazioni soprattutto) ha investito 153 mld di dollari. Alcuni Paesi africani si stanno aggregando al carro dei BRICS (Egitto, Etiopia e altri hanno fatto richiesta).

E così, Emmanuel Macron, mentre abbaia contro la Russia e in patria briga per governi zoppi – non capendo che è al crepuscolo – sarà storicizzato come il Presidente che ha sepolto il lungo periodo coloniale e messo una pietra tombale sulla grandeur.

Ai Francesi resta Monica Bellucci. Che se decidesse di tornare in patria (ha fatto nascere le due figlie a Roma) lascerebbe la Francia scoperta. Per il Paese che fu di Alain Delon, Jean Paul Belmondo, Brigitte Bardot e Isabelle Adjani, un bel colpo all’autostima. Resterebbe Catherine Denèuve, un po’ agè, a ben vedere, icona della Francia del tempo che fu.

Ma a Parigi hanno buoni analisti e ottimi lettini dove distendersi e raccontare dei fasti e lo splendore del passato. Non resta che consolarsi con le brioche, come consigliava la regina Maria Antonietta togliendo le foglioline secche alle rose nei giardini di Versailles. Madame la Guillotine bramava con ansia il suo niveo, delicato collo…

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