Romania al bivio: George Simion domina il primo turno delle Presidenziali, Antonescu inseguito a distanza

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Bucarest, 4 maggio 2025 – La Romania dovrà attendere il 18 maggio per conoscere il nome del suo prossimo presidente della Repubblica. Due settimane cariche di tensione e incertezza, dopo un primo turno che ha visto un vincitore chiaro, anche se non definitivo: George Simion, leader dell’ultradestra, ha conquistato il 41,6% dei voti con il 50% dei seggi scrutinati. Un risultato che lo proietta verso il ballottaggio da favorito indiscusso.

A sfidarlo sarà con ogni probabilità Crin Antonescu, storico volto del liberalismo romeno, fermo attorno al 21%. Per avere una chance, Antonescu dovrà riuscire in un’impresa ardua: unire le forze disperse dei candidati sconfitti, come l’outsider Nicosan Dan, la liberale Elena Lasconi e il sovranista Viktor Ponta, ex leader socialdemocratico convertito al conservatorismo. Un fronte eterogeneo, diviso su tutto, che difficilmente potrà coagulare attorno a una figura percepita come parte dell’establishment.

Simion, 38 anni, noto per il suo stile aggressivo e i toni incendiari, ha già assunto i panni del presidente, parlando di “ricostruzione morale, politica ed economica” nel discorso tenuto la sera del voto. «È la vittoria di chi non ha mai perso la speranza, di chi crede ancora nella Romania», ha dichiarato davanti ai suoi sostenitori. Al seggio si era presentato accanto a Calin Georgescu, altro esponente dell’estrema destra e noto per le sue posizioni filorusse, escluso dalla corsa elettorale dopo l’annullamento del voto di novembre per interferenze esterne. Simion avrebbe già in mente di affidargli la guida del futuro governo.

Le istituzioni europee osservano con crescente preoccupazione. Simion è apertamente simpatizzante di Donald Trump – la visita del figlio, Donald Jr, in Romania pochi giorni fa ne è una prova – e il suo orientamento anti-Ue e anti-Nato non è un mistero. Ha più volte dichiarato di voler fermare ogni tipo di aiuto all’Ucraina e immagina un futuro referendum per l’annessione della Moldavia, sul modello delle consultazioni filorusse nelle regioni occupate dell’Ucraina. Non a caso è stato dichiarato persona non grata sia a Kiev sia a Chișinău.

Bruxelles, che ha appena accolto la Romania nello spazio Schengen, teme ora un nuovo fronte euroscettico nell’Est Europa, dopo quelli già aperti in Ungheria e nella Repubblica Ceca. La legittimità stessa delle elezioni è finita sotto attacco: al quartier generale di Simion, alcuni sostenitori americani pro-Trump hanno accusato la Corte Costituzionale di aver «tentato di sovvertire la volontà popolare» con l’annullamento del primo turno.

Determinante è stato il voto della diaspora: su nove milioni di elettori, un milione ha votato all’estero, e secondo gli analisti ha premiato nettamente Simion. Un dato che lui stesso ha definito «stupefacente». L’affluenza, però, è stata bassa: solo un elettore su due si è recato alle urne. Colpa forse del lungo ponte festivo del Primo Maggio, seguito dalla celebrazione di Sant’Atanasio, figura molto cara alla Chiesa Ortodossa romena, che secondo diverse fonti avrebbe sostenuto in modo esplicito la candidatura di Simion.

Ora il Paese si divide tra chi considera il risultato già scritto e chi lo teme. Il prossimo appuntamento sarà decisivo, ma con ogni probabilità non sarà solo la Romania a sentirne il peso.

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