di DOMENICO MACERI* – “Sta cercando di arricchire la Trump Organization usando la posizione del presidente degli Stati Uniti per farlo”. Così Richard Painter, avvocato di affari etici nell’amministrazione di George Bush figlio, in un’intervista alla Msnbc, mentre commenta i continui conflitti di interesse di Donald Trump. Painter ha continuato a spiegare che il governo federale è divenuto cliente dell’azienda di Trump, violando in questo modo la “emoluments clause” (clausola sugli emolumenti). Questa clausola proibisce al presidente ed altri funzionari del governo di ricevere benefici di valore o compensi monetari al di là del loro stipendio.
Il tema del conflitto di interessi per l’attuale inquilino della Casa Bianca esiste dal giorno della sua inaugurazione. Va ricordato che Trump ha dato l’incarico di gestire la sua azienda ai suoi due figli Donald Junior e Eric. Ciononostante il 45esimo presidente continua ad esserne il proprietario. E continua a promuovere gli affari direttamente e indirettamente.
A conclusione del recente incontro del G7 in Francia, il 45esimo presidente ha suggerito che il prossimo incontro del gruppo si potrebbe tenere al Trump Doral Resort di Miami. Secondo lui, il luogo sarebbe ideale poiché include spazio, sale, alberghi, e tutti i requisiti necessari. Ovviamente, i governi degli altri sei Paesi ospitati pagherebbero le spese per il loro personale, creando in questo modo business per le tasche del presidente americano. Trump non vede, o vede molto bene, che lui ha fatto un annuncio commerciale per aiutare il resort che ultimamente, secondo alcune analisi, non sta andando a gonfie vele.
Non è questa l’unica volta che Trump promuove i suoi affari dalla sua posizione di presidente. Ogni volta che lui va a passare il weekend per giocare a golf in una delle sue proprietà sparse per gli Stati Uniti e per il mondo i media ne danno notizia. La pubblicità aiuta a ricordare che nelle proprietà del presidente ci si può divertire e inoltre qualche volta incontrare casualmente il signor Trump e possibilmente anche presentare qualche proposta politica e economica.
Il presidente, da reality star, sa molto bene che quando si parla, anche indirettamente, delle sue proprietà nei telegiornali, la sua azienda ottiene benefici mediante la pubblicità. Continua però ad asserire che fa il suo lavoro perché ama l’America e che da presidente perde da 3 a 5 miliardi di dollari, senza però darne prova. Ci ricorda che, come promesso in campagna elettorale, non accetta i 400mila dollari di salario annuale, donandoli ad alcune agenzie del governo americano. Una delle poche promesse mantenute ma che consiste di una piccolissima somma in comparazione ai benefici economici the trae dal suo lavoro di presidente.
Un’analisi del gruppo Citizens for Ethics and Responsiblity in Washington (CREW), gruppo non profit, ci informa che Trump ha passato un terzo della sua presidenza visitando le sue proprietà. Secondo CREW, Trump ha visitato le sue proprietà 362 volte dal giorno della sua inaugurazione avvenuta nel mese di gennaio del 2017. Tutto ovviamente a spese dei contribuenti. Per il corrente anno il presidente ha fatto 81 visite alle sue proprietà. CREW ha anche rilevato “un corrotto rapporto” fra l’azienda di Trump e la Casa Bianca, mettendo dubbi sulle sue decisioni politiche e la forte possibilità che esse influiscano sui profitti personali del presidente.
Non ci vuole molto a capire che Trump promuove le sua azienda dalla Casa Bianca. Tutti lo sanno. E per ottenere accesso al presidente contribuiscono “mazzette” alle sue proprietà, spendendo soldi nei suoi alberghi e resort. Non poche ambasciate, soprattutto di Paesi del Medio Oriente, spesso usano il Trump Hotel di Washington, D. C. per i loro eventi. Gruppi politici tengono riunioni nelle sue proprietà sapendo molto bene che farà piacere ai due figli del presidente che gestiscono la Trump Corporation, i quali ovviamente sono in contatto con il padre.
Anche funzionari del governo sono soggetti al “fascino” delle proprietà di Trump. Il vice presidente Mike Pence ha usato il resort di Trump in Irlanda in un suo recente viaggio ufficiale per incontri con rappresentanti irlandesi. Il problema sono le distanze. Gli incontri si sono tenuti a Dublino; il Trump International Golf Links And Hotel Donbeg si trova però a quasi 300 chilometri di distanza dalla capitale irlandese. Pence avrebbe potuto trovare una sistemazione a Dublino e risparmiare soldi ai contribuenti. La sua scelta di stare nel resort di Trump sembrerebbe essere stata suggerita a Pence proprio dal suo capo il quale però ha negato categoricamente. Il risultato però consiste di business per Trump.
Anche il ministro della Giustizia, William Barr, apprezzatissimo dal presidente per la sua fedeltà alla sua persona e non necessariamente alla costituzione, è stato recentemente criticato per il suo programma di spendere 30mila dollari nelle prossime feste natalizie al Trump Hotel di Washington. Scelta casuale ma poco intelligente che ovviamente suscita sospetti, considerando la disponibilità di altri alberghi della capitale. Niente di illegale ma poca accortezza professionale considerando la “emoluments clause” che Barr conosce benissimo.
La “emoluments clause” è venuta a galla pochissime volte nella storia americana. Si ricorda che Benjamin Franklin, da ambasciatore statunitense in Francia, ricevette una tabacchiera intarsiata di diamanti dal re francese. Un altro esempio avvenne con John Jay, presidente della Corte Suprema il quale alla fine dell’ottocento ricevette un cavallo dal re di Spagna. Dei nostri giorni i conflitti di interesse di Trump sono molto più ovvi e complessi. I repubblicani al Senato chiudono non uno ma ambedue gli occhi. I democratici alla Camera hanno però iniziato un’inchiesta ma fino ad oggi sembrano marciare a passi di lumaca.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.
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