I repubblicani vendono la loro anima per Trump?

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di DOMENICO MACERI* – “Volete scendere nella fogna più profonda per difendere Donald Trump?” Questa la domanda di Stuart Stevens, sostenitore di Bill Weld alla nomination del Partito Repubblicano, per avvertire i repubblicani di non macchiarsi con l’ennesima difesa del 45esimo presidente alla luce della telefonata con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Dalla trascrizione rilasciata da Trump e dai documenti preparati dal “whistleblower” (l’informatore) dell’episodio si sa che il presidente ha chiesto al suo omologo ucraino di aiutarlo a trovare informazioni “sporche” su Joe Biden. Trump ha identificato l’ex vicepresidente di Obama come suo probabile avversario alle elezioni del 2020 e quindi ha cercato di colpirlo anche prima che Biden si sia conquistata la nomination del Partito Democratico.

Stevens sa benissimo che Weld non riuscirà a divenire il beniamino dei repubblicani e strappare a Trump la nomination del Partito Repubblicano. Coglie però appieno la situazione dei repubblicani che fino ad oggi hanno fatto quadrato attorno a Trump e lo hanno difeso nonostante tutti i suoi comportamenti lontanissimi dall’ortodossia, spesso offensivi, e in non pochi casi vicinissimi all’illegalità.

Nell’ultimo episodio della telefonata al presidente ucraino però i democratici sembrano avere trovato lo smoking gun, la pistola fumante, per potere incastrare Trump. Nancy Pelosi, speaker della Camera, fino a poco tempo fa riluttante di aprire un’inchiesta di impeachment, alla fine ha ceduto e ha dato la via libera.

La reazione della leadership repubblicana, come in passato, è stata di riconoscere Trump come leader e non dare segnali di volere abbandonarlo. I repubblicani hanno sorvolato sul fatto che il 45esimo presidente è narcisista, patologicamente disonesto, senza vergogna, che si diverte a rompere tutte le regole. Trump riflette una personalità di mafioso il cui comportamento non è guidato da concetti morali o etici, suggerendo che per lui in ogni caso non esistono.

In quest’ultimo episodio Trump usa il suo potere per minacciare il presidente ucraino con il blocco delle armi vendute al suo paese dagli Stati Uniti. Lo ha fatto come richiesta di favore chiedendogli di riaprire “un’inchiesta sul suo probabile avversario politico”. Trump ha anche suggerito a Zelensky di cooperare con il suo avvocato Rudy Giuliani e William Barr, l’attuale ministro di Giustizia americano.

Alcuni repubblicani hanno non hanno visto nulla di improprio nella telefonata di Trump. Il senatore Lindsey Graham del South Carolina ha dichiarato che non si può procedere all’impeachment solo per una telefonata. Il senatore Charles Grassley (Iowa) ha anche lui supportato Trump non vedendo nessun quid pro quo. Il parlamentare Mark Meadows del North Carolina ha dichiarato che il Partito Repubblicano riconosce Trump come leader indiscusso del partito e tutti lo appoggiano.

Alcune voci però si sono alzate contro Trump che dovrebbero fare preoccupare l’attuale inquilino della Casa Bianca. Mitt Romney, candidato presidenziale repubblicano sconfitto da Barack Obama nel 2012, ha caratterizzato la telefonata di Trump come “profondamente inquietante”. Romney, adesso senatore dell’Utah, ha una certa posizione nel Partito Repubblicano che fino ad adesso ha usato poco per sfidare Trump.

Un’altra voce, forse meno importante, ma anche critica è stata quella di Jeff Flake, ex senatore dell’Arizona. Flake non si è ricandidato alla rielezione nel 2018 riconoscendo che avrebbe dovuto sostenere la politica di Trump i cui comportamenti sono per lui imperdonabili. Adesso però in un editoriale pubblicato nel Washington Post, Flake va oltre, richiamando i suoi ex colleghi, classificando come devastante il loro abbraccio ai comportamenti offensivi e inaccettabili di Trump. Flake, nel suo editoriale, corregge anche il consulente repubblicano Mike Murphy il quale aveva detto che se il Senato votasse in segreto 30 dei repubblicani voterebbero per condannare Trump. Flake ci dice invece che la cifra sarebbe in realtà 35. Se a questi numeri si aggiungessero tutti i voti dei senatori democratici si andrebbe ben al di là dei due terzi necessari per condannare Trump dopo un probabile impeachment della Camera dominata dai democratici.

Perché dunque i senatori repubblicani continuano a supportare l’attuale inquilino della Casa Bianca? Flake ce lo spiega usando il suo caso personale. La ragione per cui non si è ricandidato viene chiarita con il potere di Trump il quale avrebbe incoraggiato uno dei suoi fidati a sfidare Flake e eventualmente sconfiggerlo e persino umiliarlo. Questa stessa paura esibita da Flake inibisce molti senatori repubblicani. La sopravvivenza politica domina i comportamenti dei politici anche quando devono sopportare un tipo come Trump che ha in effetti preso in ostaggio il suo partito. Attaccare Trump vuol dire suicidio politico. Ecco l’assicurazione di Trump.

I democratici denunciano il pericolo dell’attuale inquilino della Casa Bianca causato dal suo comportamento che con notevole frequenza si avvicina all’illegalità, conducendo la sua politica come se si trattasse della sua azienda. Il caso della nota telefonata a Zelensky ce lo conferma. Le ultimissime informazioni ci dicono che il segretario di Stato Mike Pompeo era presenta durante la telefonata. Siamo venuti a sapere anche che il ministro di Giustizia William Barr si è incontrato con membri dell’intelligence italiana e inglese. Barr stava aiutando a investigare le origini dell’inchiesta del Russiagate che Trump ha sempre considerato una caccia alle streghe. Sappiamo dal rapporto di Robert Mueller, il procuratore speciale, che la Russia ha interferito nell’elezione americana del 2016 per aiutare Trump. Il 45esimo presidente non ha mai digerito questa realtà e la sua insicurezza di legittimità sull’elezione continua a spingerlo a cercare di riscrivere la realtà per plasmarla ai suoi bisogni.

Il pericolo per Trump però sono i democratici che hanno i voti alla Camera per approvare l’impeachment. Alla fine saranno i repubblicani al Senato a tenere nelle loro mani la sorte del 45esimo presidente. I senatori del GOP dovranno decidere se il loro continuo supporto di Trump che loro in privato non tengono, secondo Flake, li manterrà fedeli. Nel suo editoriale l’ex senatore dell’Arizona li incoraggia dicendo che “potranno trovare lavoro” in altri luoghi ma sostenendo Trump perderanno “la loro anima”.

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

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