NICOLA ZUCCARO – Bologna, martedì 19 marzo 2002. Alle 20.07, reduce da Modena, dove insegnava Diritto del Lavoro presso la rispettiva Università, percorrendo il tratto che separa la Stazione Centrale dalla sua abitazione in via Valdonica – nel pieno centro della città felsinea – Marco Biagi viene ferito mortalmente da un commando delle Nuove Brigate Rosse per la costituzione del Partito Comunista Combattente. Alle 20.15 morirà fra le braccia del personale sanitario del 118 che constaterà il decesso per i proiettili partiti dalla stessa arma utilizzata nell’assassinio di Massimo D’Antona, anch’egli giuslavorista come Biagi e ucciso il 20 maggio 1999.

A 10 anni dalla dissoluzione del Nucleo “storico” delle Brigate Rosse, l’eversione terroristica che sembrava essere definitivamente archiviata, torna alla ribalta delle cronache, puntando il bersaglio sugli “esperti” che studiavano quelle soluzioni che avrebbero potuto consentire una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro. Biagi era fra questi e lavorava su una legge che, entrando in vigore con il suo nome, un anno dopo la sua morte, introduceva il contratto a progetto. Giuslavorista di primo livello, per essere stato consulente del Governo Berlusconi e di vari Ministri del Lavoro, divenne un obiettivo da poter colpire facilmente, perché sprovvisto di una scorta, secondo quanto rivelato dalla terrorista pentita Cinzia Banelli nel corso del processo sullo stesso delitto.

Questa rivelazione confermò le richieste di una misura protettiva avanzata dallo stesso Biagi al Ministero dell’Interno nei precedenti la sua morte. Per le mancate risposte da parte dello Stato, furono successivamente avviate 2 inchieste che videro indagati il Capo della Polizia Gianni De Gennaro e l’allora Ministro dell’Interno Claudio Scajola. La prima inchiesta venne archiviata. La seconda si concluse nel 2015 con la prescrizione del reato di cooperazione colposa in omicidio colposo.