(Agenzia DIRE) Roma – “Le cose a Gaza vanno malissimo, viviamo nel terrore e rischiamo in ogni momento di morire: non ci sono luoghi sicuri in cui andare”. Questa la testimonianza di Samya M., una cooperante di 29 anni residente a Gaza City.
La principale città dell’enclave palestinese affronta il settimo giorno di bombardamenti da parte di Israele, che al ‘Ciclone Al-Aqsa’ sferrato dal movimento politico-militare Hamas ha risposto con l’operazione ‘Spade di ferro’ per eliminare i miliaziani. Ore di angoscia che Samya – che chiede di tenere il cognome nascosto per ragioni di sicurezza – racconta all’agenzia Dire mentre è in strada, insieme ad altre persone. Usa ciò che le resta della carica del suo smartphone per denunciare: “Non
sappiamo dove andare”.
Dopo che Israele ha dato l’ultimatum di 24 ore a 1,1 milioni di abitanti per lasciare la Striscia, riferisce l’attivista, “tra la gente è scoppiato il panico”. Le affermazioni di Samya trovano conferma in un video condiviso su Instagram nella serata di ieri da Gaza dal giornalista Motaz Azaiza, che mostra donne in lacrime coi bambini piccoli in braccio e altre persone che cercano rifugio da possibili raid aerei, mentre operatori della Mezzaluna rossa cercano di rincuorarli. A questo si aggiunge la testimonianza di un’altra reporter, Plestia Alaqad, che in un video dichiara: “Abbiamo perso la famiglia, la casa e adesso la patria e nessuno sa cosa dobbiamo fare: Gaza City ormai non esiste più. È una città fantasma”.
Per rafforzare la sua denuncia, via internet Ala condivide con la Dire fotografie scattate in questi giorni: edifici sventrati, quartieri ridotti in macerie, corpi di bambini senza vita. In un’altra si vede una lunga coda di persone: “Erano in fila per prendere l’acqua”. Perché nella Striscia, dove si stima risiedano almeno 2,2 milioni di persone, “non c’è più acqua, luce o cibo. L’acqua è sempre di meno, eppure è un bene vitale per gli esseri umani” denuncia Samya, confermando che “l’assedio totale” imposto da Tel Aviv per affamare la popolazione sta funzionando.
Samya nella vita lavora come cooperante per l’ong locale Qawafir Alkhair, che assiste le famiglie svantaggiate di Gaza, e in particolare i bambini delle scuole gestite dall’Agenzia Onu per i rifugiati in Palestina e Medio Oriente (Unrwa), raccogliendo kit scolastici, vestiti, cibo e giocattoli. L’associazione si occupa anche di organizzare attività ludico-ricreative.
Ma da sabato, racconta, “le lezioni sono state sospese e le scuole si sono trasformate in rifugi per le famiglie a cui è stata distrutta la casa. Ma anche tante scu le sono state bombardate. Non esistono posti sicuri. Il mondo ci aiuti”.
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