La sconfitta legale di Trump sul censimento: vittoria politica?

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di DOMENICO MACERI* – “La domanda sulla cittadinanza americana è semplice e basica e va inclusa nel censimento”. Questa la reazione di Donald Trump dopo avere ottenuto una risposta negativa dalla Corte Suprema (5 contro, 4 a favore) sull’inclusione della domanda che non si usa da più di 50 anni.
Sembrerebbe logico che una semplice domanda, come dice il 45esimo presidente, fosse inclusa nel questionario per il censimento decennale richiesto dalla costituzione americana. Il problema è che la seconda sezione dell’articolo 1 della costituzione richiede il censimento per arrivare a un’enumerazione dei residenti in America. Si tratta di tutti i residenti non solo quelli in possesso della cittadinanza poiché il totale di questi risultati determina il numero di seggi al Congresso che spettano ai differenti Stati. Questi numeri possono cambiare secondo le cifre degli abitanti, i quali, secondo un’altra decisione della Corte Suprema, meritano rappresentanza senza considerazione di cittadinanza.
Trump e i repubblicani speravano che l’inclusione della domanda sulla cittadinanza escludesse dalla partecipazione un importante numero di individui appartenenti a gruppi minoritari e specialmente ispanici dall’enumerazione totale. La domanda avrebbe intimorito non pochi immigrati a rifiutare di partecipare al censimento, temendo che l’informazione potesse essere usata contro di loro. Uno studio della Harvard University ci informa che l’inclusione della domanda avrebbe ridotto la partecipazione di 6 milioni di individui. Gli effetti sarebbero stati negativi per la California che avrebbe potuto perdere due seggi al Congresso e al Texas che ne avrebbe perso uno. Al contrario, Stati rurali con popolazioni principalmente bianche, ne avrebbero beneficiato. Il Montana, per esempio, avrebbe raddoppiato il numero dei seggi da uno a due. In sintesi, la domanda avrebbe aiutato il Partito Repubblicano per i prossimi dieci anni.
La recente decisione della Corte Suprema era stata interpretata dal Dipartimento di Commercio, incaricato del censimento, come finale e i funzionari avevano già iniziato a stampare i questionari senza la domanda sulla cittadinanza. Poi è venuto il tweet di Trump che la sua amministrazione stava investigando alternative per includere la domanda negata dalla Corte Suprema.
Trump non aveva ricorsi legali ma il suo rifiuto di accettare la sconfitta riflette campagna politica invece di legalità. Poco importa se lui perde nei tribunali. Il suo pubblico vero e proprio consiste della sua base, la quale, poco informata, vede nel presidente il lottatore per i loro diritti. Trump vince con loro poiché la questione della cittadinanza si riallaccia alla sua politica anti-immigratoria che va al di là dei clandestini e i migranti dell’America Centrale detenuti al confine col Messico. Trump è il difensore dei valori tradizionali americani, vedi bianchi, che proclama di fermare i clandestini con il fatidico muro al confine col Messico che aveva promesso sarebbe pagato dai messicani. Non essendo riuscito a mantenere la promessa elettorale, Trump ha chiesto al Congresso fondi per la costruzione che gli sono stati negati, anche se lui ha cercato di fabbricarlo trasferendo fondi dal Dipartimento di Difesa che sono tuttora in limbo per questioni giudiziarie.
I risultati importano poco a Trump perché per lui si tratta di campagna politica costante. Una campagna dura contro gli immigrati e i non cittadini rafforza la base dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Paradossalmente questa campagna di clima anti-immigranti, evidenziata dall’amministrazione di Trump, si riaggancia al censimento e la paura dei partecipanti. Il trattamento deplorevole dei migranti al confine con la separazione delle famiglie e i centri di detenzione, definiti come campi di concentramento da Alexandria Ocasio-Cortez, parlamentare di sinistra di New York, confermano la mano dura sull’immigrazione che tanto fa piacere all’ultra destra. Il clima di paura è anche sottolineato dai raid promessi da Trump che deporterebbero parecchie migliaia di famiglie clandestine, principalmente da metropoli controllate da sindaci democratici. Questi si rifiutano di cooperare con il governo federale nella deportazione eccetto nei casi che coinvolgono severi reati. I raid sono stati rimandati ma potrebbero scattare da un giorno all’altro, ampliando il clima di paura.
Trump “vince” non necessariamente con risultati obiettivi ma creando un clima di paura riportato dai media che eventualmente raggiunge le comunità di immigrati con un effetto simile a quello della questione di cittadinanza nel censimento. Più si parla di cittadinanza e immigrazione anche senza risolvere i problemi, più Trump ci guadagna politicamente perché lotta, divenendo paladino dei valori “americani” contro gli stranieri. Vincere o perdere legalmente importa poco. Per Trump si tratta di rafforzare la sua immagine di lottatore anche se perde poiché segna gol politici con la sua aspra retorica. La discussione di esplorare altri percorsi per includere la domanda sulla cittadinanza nel questionario suggerisce che la contesa non sia finita nonostante la decisione della Corte Suprema. Trump ha infatti suggerito che potrebbe fare uso dei suoi poteri esecutivi per l’inclusione della domanda sulla cittadinanza nel questionario del censimento. Una strada legalmente impossibile che non riconosce la legalità e il potere della Corte Suprema.
Alla fine però Trump ha dovuto cedere e ammettere la sconfitta, abbandonando il piano dell’inclusione della domanda sulla cittadinanza. Il 45esimo presidente ha spiegato che la sua amministrazione userà altre fonti per determinare quanti abitanti in America sono cittadini, residenti legali o vivono nel paese senza autorizzazione legale. La sconfitta è evidente poiché queste informazioni supplementari non possono essere usate per determinare il numero di seggi o il modo in cui il governo federale distribuisce fondi che continueranno a essere legati ai risultati del censimento. Per le comunità di immigranti questa raccolta di dati già nelle mani di agenzie del governo aumenterà il senso di insicurezza, quella stessa insicurezza che probabilmente li avrebbe scoraggiati dal censimento. Creare paura è la vittoria di Trump.
============= Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

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