di DOMENICO MACERI* – “Non ho fatto nulla di male” ha dichiarato Donald Trump ai giornalisti recentemente alla luce dell’inchiesta della Camera sul suo possibile impeachment. Il 45esimo presidente ha continuato spiegando che la condotta dei democratici sta causando uno “smantellamento del Partito Repubblicano”.
La strategia di Trump per difendersi dall’inchiesta dell’impeachment si basa non solo sulla sua dichiarazione di innocenza ma di incitare anche i repubblicani a difenderlo a spada tratta. Va aggiunto anche il suo contrattacco come ci rivela l’indagine penale aperta dal ministro di Giustizia William Barr sulla nascita dell’inchiesta del Russiagate. Il procuratore speciale Robert Mueller, dopo le sue indagini, ha concluso nel suo rapporto che i russi avevano interferito nell’elezione americana del 2016 per aiutare Trump senza però incolpare la campagna del magnate di reato. Nella seconda parte del rapporto, però, Mueller ha determinato una dozzina di esempi di ostruzione alla giustizia da parte del 45esimo presidente. Mueller ha però scagionato Trump poiché una normativa del ministero di Giustizia sostiene che un presidente in carica non può essere incriminato. In effetti, Trump l’ha fatta franca.
Non contento del suo “successo” con Russiagate, Trump ha
incoraggiato Barr a investigare l’origine dell’indagine. Il 45esimo presidente ha sempre sostenuto, senza dare prove, che la sua campagna aveva sofferto abusi da parte dei servizi segreti. Barr anche nelle sedute al Senato sulla sua conferma aveva suggerito che aveva intenzione di dare un’occhiata per esplorare se la campagna di Trump fosse stata spiata dai servizi segreti. Da ministro di Giustizia ha fatto esattamente quello. Ha incaricato John Durham, procuratore di esperienza, il quale ha trasformato una procedura amministrativa in un’inchiesta criminale con pieni poteri investigativi. Vuol dire che potrà costringere ex vertici dell’intelligence come James Comey, ex direttore della Fbi, John Brennan, ex direttore della Cia e persino Robert Mueller, emettendo atti di comparizione e possibilmente anche rinviarli a giudizio. In effetti, il ministero di Giustizia indaga la sua stessa agenzia per soddisfare i complotti escogitati da Trump.
Nonostante Barr sia un ministro di giustizia fedelissimo al suo capo i problemi legali e soprattutto politici di Trump continuano a dilagare. La denuncia del whistleblower il mese scorso ha chiarito le azioni improprie nella arcinota telefonata di Trump a Volodymyr Zelensky, presidente ucraino. Il presidente americano ha chiesto un favore al suo omologo ucraino di investigare Joe Biden e poi avrebbe dato il via libera agli aiuti americani al governo ucraino. Barr non ha considerato le informazioni meritevoli di indagini. Ha sbagliato poiché la Camera, dominata dai democratici, ha preso in mano le indagini trovando lo smoking gun, la pistola fumante per procedere a un’inchiesta di impeachment.
Trump ha reagito come sempre fa. Prima ha negato il quid pro quo, poi con la trascrizione della sua telefonata e le informazioni venute a galla dal whistleblower, dai diplomatici americani Gordon Sondland e William Taylor, si hanno avuto conferme che infatti c’era stato il quid pro quo. Questo consiste di aiuti militari all’Ucraina in cambio dell’inchiesta sulla presunta corruzione di Biden, suo possibile avversario alle elezioni del 2020. Al di là di reclamare innocenza, Trump ha cercato di attaccare il whistleblower, asserendo di avere inventato tutto. Due dei sostenitori di Trump, Jack Burkman e Jacob Wohl, hanno persino offerto un compenso di 50mila dollari a chi possa fornire informazioni per identificare l’informatore per attaccarlo ferocemente e screditarlo.
Adam Schiff, l’incaricato dell’inchiesta sull’impeachment, però, è riuscito fino ad adesso a mantenere l’anonimato dell’informatore, conducendo le indagini a porte chiuse. Trump ha incitato i repubblicani a difenderlo e difatti parecchi parlamentari hanno protestato ad alta voce, occupando per parecchie ore la aule riservate alle sedute di inchiesta. Tutto illegale, ovviamente, anche se non pochi parlamentari e senatori repubblicani hanno erroneamente sostenuto che il “povero” Trump non ha possibilità di difendersi, interrogando i suoi accusatori. A correggerli però è stato addirittura l’ex giudice Andrew Napolitano, collaboratore della Fox News, il quale ha spiegato ai conduttori del programma “The View” che Schiff stava conducendo le sue indagini in modo assolutamente legale. Napolitano ha lasciato a bocca aperta i conduttori asserendo che le regole seguite da Schiff erano infatti state approvate dalla Camera sotto la guida dello speaker John Boehner, repubblicano, nel 2015, quando il Gop controllava la maggioranza alla Camera. Napolitano ha continuato che Schiff stava agendo esattamente come un poliziotto che indaga su un possibile reato in segreto e poi una volta determinata la serietà del caso rende pubblica l’accusa.
Le regole però importano poco a Trump. Preferisce la fedeltà dei suoi collaboratori e anche quella del ministero di Giustizia che vede come suo strumento personale invece di difensore della costituzione americana. Nei suoi tre anni di presidenza l’attuale inquilino della Casa Bianca è riuscito a circondarsi di assistenti che sanno benissimo che la fedeltà al loro capo significa anche la loro sopravvivenza nel team presidenziale. Alcuni però hanno dimostrato più fedeltà al Paese e non al presidente. Il colonnello Alexander Vindman, massimo esperto di politica ucraina in servizio al Consiglio di Sicurezza, è uno di questi. Vindman ha ascoltato la fatidica telefonata di Trump con Zelensky e ha giudicato il quid pro quo di Trump come inaccettabile e tutt’altro che produttivo per la sicurezza nazionale del Paese. Vindman la vede come il whistleblower ma è venuto allo scoperto e ha testimoniato alla Camera a porte chiuse. Secondo il Washington Post, Vindman ha testimoniato per 10 ore e secondo alcune fonti ha reiterato le preoccupazioni espresse dal whistleblower. Il New York Times cita fonti secondo cui la trascrizione della telefonata con Zelensky rilasciata da Trump esclude dettagli compromettenti. Trump ha attaccato Vindman accusandolo di essere un “Never Trumper” (Nemico di Trump), deridendolo, mettendo in dubbio la sua veracità. Il problema per Trump è che il colonnello Vindman ha servito il Paese per 20 anni, parte dei quali in Iraq, dove fu ferito, ricevendo un “Purple Heart”, una medaglia concessa a membri delle forze armate americane morte o ferite al servizio della Patria.
Nonostante i suoi ovvi meriti, Vindman è stato attaccato da Trump perché non gli ha dimostrato fedeltà. Così facendo, il 45esimo presidente si è comportato come è solito fare, mettendo la sua stessa persona al di sopra di tutti i valori condivisi dagli americani, specialmente per quanto riguarda le forze armate che rischiano la vita per il Paese. Il rischio però al momento lo corre proprio lui. La Camera, sotto la guida della speaker democratica Nancy Pelosi, ha appena approvato (232 voti sì, 196 no) la risoluzione che fissa le regole per il possibile impeachment del presidente. Barr, il suo grande difensore, non potrà fare nulla per difenderlo.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.
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