Mo, Fersakh (Mezzaluna rossa): Negli ospedali guerra uccide ogni minuto

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(Agenzia DIRE) ROMA – “L’ospedale Al-Amal a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, è totalmente fuori servizio: 90 pazienti sono lasciati senza elettricità, di cui 25 in terapia intensiva, e a questo punto potrebbero morire in ogni momento”. Nebal Farsakh è la portavoce della Mezzaluna rossa palestinese, con base a Ramallah. La notizia le viene comunicata mentre l’agenzia Dire la intervista telefonicamente sulla situazione degli ospedali nella Striscia di Gaza, che da quasi 40 giorni subisce i bombardamenti da parte delle forze israeliane, intenzionate a neutralizzare i gruppi armati legati ad Hamas, dopo l’aggressione del 7 ottobre che ha causato 1.400 morti nel sud dello Stato ebraico, mentre 240 persone sono state prese in ostaggio. Nell’operazione militare contro la Striscia hanno invece perso la vita 11.100 palestinesi, secondo il ministero della Salute di Gaza.

Le forze di Tel Aviv stanno concentrando sugli ospedali le loro operazioni, in particolare nel Nord, dove prosegue l’avanzata di terra. Israele nega questi attacchi diretti.

Sempre nell’ambito dell’operazione militare, all’indomani del 7 ottobre Israele ha inoltre tagliato luce, acqua e connessione internet, e bloccato l’ingresso di carburante, generi alimentari e medicinali. Questo, unito ai raid, ha costretto i principali ospedali di Gaza City, lo Shifa e Al-Quds, a interrompere ogni attività. Il secondo è gestito dalla Mezzaluna rossa palestinese.

“Nel nord della Striscia è una catastrofe- premette la portavoce- gli ospedali sono nel mirino dei bombardamenti aerei e dei colpi d’artiglieria. Qualche giorno fa- accusa Farsakh- le forze israeliane hanno sparato a una persona che stava entrando nel nostro ospedale, il giorno dopo hanno sparato all’interno in una unità di terapia intensiva, uccidendo una persona e ferendone 28. Non c’è più niente da mangiare. Lo scorso fine settimana- continua Fersakh- i profughi che avevano trovato rifugio nella nostra struttura, circa 6mila, hanno deciso di andarsene verso sud nonostante i rischi di muoversi in una zona di guerra. Ora sono rimaste 600 persone tra pazienti, familiari e staff medico”. Per questa ragione, riferisce la responsabile, ieri il personal di Al-Quds ha coordinato con l’esercito israeliano l’evacuazione di queste persone verso l’ospedale Al-Amal, a Khan Younis: “Varie ambulanze e mezzi avrebbero dovuto raggiungere Al-Quds nel primo pomeriggio, ma l’esercito ha fermato il convoglio per delle perquisizioni, dopodiché gli ha impedito di proseguire, sostenendo che erano in corso combattimenti”.

Per i residenti all’esterno le cose non vanno meglio. “Hanno distrutto varie ambulanze: vengono colpite quando vanno a soccorrere i feriti causati dai raid”. Accuse che le Nazioni Unite oggi hanno rilanciato citando proprio il Comitato internazionale di Croce rossa e Mezzaluna rossa.

Nebal Farsakh quindi accusa: “Da settimane chiedevamo l’apertura di corridoi umanitari per i civili. Sapevamo che saremmo arrivati al punto in cui avremmo dovuto interrompere servizi essenziali. Dei neonati prematuri sono già morti. Israele non solo ha interrotto l’elettricità, ma ha impedito l’accesso del gasolio per i generatori, e alla fine li ha anche bombardati. I nostri colleghi ci raccontano che ci sono decine di cadaveri che non possono seppellire in fosse comuni nel cortile, perché se escono potrebbero essere colpiti. Le celle frigorifere sono piene e spente da giorni. Immaginate cosa significa vivere intrappolati, senza acqua potabile per i servizi igienici e per lavare i feriti, con i profughi che non hanno cibo, e senza poter comunicare col mondo esterno”.

Se al nord gli ospedali sono diventati zone di guerra, con 22 strutture su 35 oramai dichiarate fuori servizio secondo il ministero della Salute di Gaza, a sud Farsakh riferisce che la situazione non è migliore: “Anche qui gli aiuti arrivano a singhiozzo”, e infatti l’spedale Al-Amal – che in arabo vuol dire “speranza” – che avrebbe dovuto ricevere i pazienti di Al-Quds, da qualche ora è stato dichiarato fuori servizio.

“Da una settimana io e il mio staff a Ramallah non dormiamo: aspettiamo notizie dai nostri colleghi dall’ospedale Al-Quds, che riescono a mandarci solo brevi messaggi, in quei rari momenti in cui trovano connessione. Per questo non sono in grado di darci un quadro completo degli eventi. Potrebbero morire e noi non sapremo mai quando e come è successo”.

La responsabile conclude: “Torniamo a chiedere con urgenza l’apertura di corridoi umanitari per garantire la cura e la protezione dei pazienti, delle loro famiglie e dello staff medico”.

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