ROMA – Chi è affetto da una grave depressione non può scontare il carcere neppure se ha commesso reati molto pesanti, un omicidio ad esempio. La Cassazione riconosce finalmente una malattia drammatica che impedisce di vivere dignitosamente con la sentenza 9432/24 depositata il 5 marzo 2024 avverso l’ordinanza del 28/02/23 del tribunale di Sorveglianza di Cagliari.
Ad avviso della prima sezione penale, ai fini del differimento facoltativo della pena, ai sensi dell’art. 147, primo comma, n. 2) cod. pen., o della detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen., la malattia da cui il detenuto è affetto deve essere grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare rilevanti conseguenze dannose, o comunque deve esigere un trattamento sanitario non attuabile in regime di carcerazione, dovendosi operare un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività.
Ad avviso degli Ermellini, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, rincarano la dose hanno spiegato che “Ai fini del differimento della pena, rilevano anche le patologie di entità tale da far apparire l’espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità a cui si ispira la norma dell’art. 27 Cost., in quanto capaci di determinare una situazione esistenziale al di sotto della soglia di dignità che deve essere rispettata anche nelle condizioni di restrizione carceraria.
Fra l’altro, la patologia psichica può costituire essa stessa una causa di differimento della pena, quando sia di una gravità tale da provocare un’infermità fisica non fronteggiabile in ambiente carcerario, o da rendere l’espiazione della pena in tale forma non compatibile, per le eccessive sofferenze, con il senso di umanità. E per concludere, ecco il nocciolo della questione ad avviso del Supremo collegio, la depressione è, infatti, una patologia che, se particolarmente grève, può risultare incompatibile con la prosecuzione della detenzione in carcere, rendendo quest’ultima una fonte di sofferenze aggiuntive, incompatibili con il concetto di rispetto della dignità umana e con la finalità rieducativa della pena, o causare il peggioramento delle condizioni psichiche del detenuto”.
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