LONDRA – Il fondatore di WikiLeaks negli Stati Uniti è accusato di aver violato una legge anti-spionaggio per aver pubblicato documenti secretati. L’esecutivo di Boris Johnson è stato chiamato ad esprimersi dopo una lunga querelle giudiziaria, ma sul caso non è ancora detta l’ultima parola. “Un giorno buio per la libertà di stampa”, ha commentato WikiLeaks.
Il cofondatore australiano di Wikileaks, che compirà 51 anni il 3 luglio, non verrà comunque consegnato agli Stati Uniti immediatamente. Ha infatti ancora 14 giorni di tempo per tentare un ultimo appello, contro l’adeguatezza del provvedimento ministeriale, di fronte alla giustizia britannica; e, nel caso di un rigetto (pressoché scontato), di provare a rivolgersi pure alla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, organismo che fa capo al Consiglio d’Europa di cui il Regno Unito fa tuttora parte.
“In base alla legge sull’estradizione (Extradition Act) del 2003, il ministro è tenuto a firmare l’ordine di estradizione se non ha basi per proibire che esso venga eseguito”, si apprende in una nota esplicativa diffusa a nome di Patel dall’Home Office, il dicastero dell’Interno britannico.
“Il 17 giugno – si legge ancora nel comunicato – in seguito al giudizio dato sia dalla Corte di primo grado sia dall’Alta Corte, l’estradizione negli Usa del signor Julian Assange à stata quindi ordinata. Il signor Assange conserva tuttavia il diritto di fare appello entro il termine normale di 14 giorni”.
Il ministero evidenzia in ogni modo come “in questo caro le Corti del Regno Unito non abbiano riscontrato il rischio di abusi, di un trattamento ingiusto od oppressivo contro Assange nell’ambito del processo di estradizione. E neppure hanno riscontrato che negli Stati Uniti egli possa andare incontro a una procedura incompatibile con i suoi diritti umani, incluso il diritto a un processo giusto o alla sua libera espressione”, sancendo che “sarà trattato in modo appropriato anche in relazione alla sua salute”.
Le motivazioni formali della ministra non placano comunque le polemiche sull’intera vicenda giudiziaria all’attivista australiano, inseguito da Washington da oltre 10 anni, denunciata come iniqua e persecutoria da numerose organizzazioni umanitarie come Amnesty International, da agenzie dell’Onu e dagli stessi media internazionali.
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