Romney sfida Trump per salvare il suo partito?

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di DOMENICO MACERI* – La telefonata di Donald Trump al presidente ucraino Volodymyr Zelensky è stata qualificata come “profondamente inquietante” da Mitt Romney, senatore repubblicano dell’Utah e candidato repubblicano alle elezioni del 2012, sconfitto però da Barack Obama. Romney è stato uno dei pochissimi senatori del Gop (Grand Old Party) a mostrarsi preoccupato dal tentativo di Trump di chiedere a Zelensky di investigare Joe Biden, un suo probabile avversario alle elezioni del 2020.

Trump ovviamente non poteva lasciare perdere e come spesso fa ha attaccato Romney coprendolo di insulti, passando in rassegna i loro rapporti degli ultimi anni. In un tweet il 45esimo presidente ha ribadito che la sua telefonata con Zelensky era totalmente nei limiti del “professionalismo”. Ha seguito poi aggiungendo insulti dicendo che Romney è “un idiota presuntuoso”, un perdente, che lo ha opposto sin dall’inizio. Trump ci ricorda che quando Romney gli aveva chiesto il suo endorsement nella corsa per il seggio al Senato nel 2018, lui gliel’ha dato. Quando però due anni prima Romney lo aveva pregato di divenire segretario di Stato, il 45esimo presidente non glielo concesse. Adesso, Romney è un fiasco completo e dovrebbe essere sottoposto all’impeachment, secondo Trump, senza capire che i senatori non sono soggetti all’impeachment. La rimozione di un senatore può avvenire ma spetta al Senato che lo potrebbe espellere con 2/3 dei voti.

Qualche giorno dopo, Trump, forse insoddisfatto del caos creatosi con la telefonata a Zelensky, ha annunciato dalla Casa Bianca che la Cina dovrebbe iniziare un’indagine su Biden per presunta corruzione nel Paese asiatico. Trump lancia sassi senza offrire prove ma i cinesi hanno già detto che non apriranno nessun’inchiesta.

Romney ha di nuovo commentato la richiesta di Trump sull’Ucraina e la Cina dicendo che si tratta di un’azione “spudorata e senza precedenti”, sbagliata e persino “spaventosa”.

Romney nel 2012 era il leader del Partito Repubblicano e va ricordato che si era conquistato la nomination del partito. Dopo la vittoria di Obama nel 2012 Romney era uscito di scena ma nel 2014 si era parlato di una sua possibile ricandidatura che lui però non mise in atto. Nella campagna del 2016 Romney prese una forte posizione contro Trump etichettandolo di essere “falso e fraudolento”. Con la vittoria di Trump si era parlato di un suo ruolo nell’amministrazione come segretario di Stato ma alla fine il 45esimo presidente scelse Rex Tillerson.

Poi dopo una pausa Romney nel 2018 si è candidato a senatore nell’Utah, sconfiggendo la sua avversaria democratica Jenny Wilson (62 a 30 percento), carica che occupa dal gennaio del 2019. Al Senato fa parte di parecchie commissioni e si è comportato come un tipico senatore repubblicano opponendosi all’Obamacare, la riforma sulla sanità approvata da Obama, promettendo di spingere per limitare il Medicare, votando a favore della riduzione alle tasse.

Le voci repubblicane che si sono alzate per condannare Trump per i suoi sforzi di aprire indagini su Biden sono rare. Romney è uno dei pochi ma ha una certa statura nel Partito Repubblicano considerando la sua vittoria della nomination nel 2012. Ciononostante al Senato il senatore dell’Utah è lungi dal disporre di un potere che rimane solidamente nelle mani di Mitch McConnell, il presidente della Camera Alta. McConnell ha dichiarato che se i democratici alla Camera procedono all’impeachment di Trump il Senato non avrà scelta e dovrà affrontare il caso sottoponendolo al voto di possibile condanna. Per cacciare il 45esimo presidente dalla Casa Bianca sono richiesti 67 voti, molti dei quali verrebbero dai democratici. I rimanenti dovrebbero venire da senatori repubblicani.

McConnell ha già indicato che non ha nessuna intenzione di permettere una condanna di Trump al Senato ma le cose potrebbero cambiare una volta che i democratici alla Camera concludano il loro lavoro. Trump ha attaccato Romney perché sa benissimo che il senatore dell’Utah potrebbe rappresentare un pericolo nel caso in cui decidesse di fare valere il suo potenziale ruolo di leader.

Fino al momento però non vi è riuscito anche se qualche altro senatore ha alzato un po’ la voce sostenendo simili preoccupazioni a quelle di Romney. Il senatore Rob Portman, (Ohio), la senatrice Susan Collins (Maine) e Ben Sasse (Nebraska) hanno criticato la richiesta di Trump alla Cina ma non hanno detto nulla sulla telefonata a Zelensky. Il senatore Marco Rubio (Florida) ha anche commentato la richiesta alla Cina spiegandola come uno scherzo di Trump per dare filo da torcere alla stampa. Questi senatori potrebbero essere corteggiati da Romney per creare la base anti-Trump al Senato.

Da aggiungere che Trump continua a sfidare la pazienza dei senatori repubblicani. Il suo recentissimo annuncio che ritirerà le truppe americane dal confine siriano con la Turchia, scaricando i nostri alleati curdi, non è andato giù a McConnell, che in un rarissimo caso ha dissentito da Trump, mettendosi nel campo di Nancy Pelosi, speaker democratica della Camera. Per la condanna di impeachment sarà un’altra cosa a meno che Romney trovi il coraggio e crei alleanze con colleghi al Senato.

Non dovrebbe essere molto difficile. A differenza di altri senatori che devono correre per la rielezione nel 2020 e quindi temono l’ira di Trump, Romney non ha nulla da temere poiché è stato eletto nel 2018 e il suo mandato dura sei anni fino al 2024 che coincide anche con la scadenza di un possibile secondo mandato presidenziale di Trump in caso di rielezione. Romney potrebbe dunque agire per riportare il suo partito nella carreggiata tradizionale, riconquistando quel poco di legittimità che rimane al GOP. Romney potrebbe divenire un vero leader e entrare nella storia come un vero repubblicano che ama il suo Paese più di un presidente corrotto. Molto da guadagnare e poco da perdere. Accetterà Romney la sua sfida?

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.


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